di Giulia Armeni

«No plastic tax, bisogna investire Rivoluzione profonda per la parità»

la città sostenibile 09 giu 2021

«La plastic tax? Non serve, dipendesse da me sarebbe l'ultima cosa che farei». «L'ecobonus? Puntiamo a semplificarlo e ad estenderlo almeno fino al 2023». «La rivoluzione "green"? Va attuata velocemente, ma in modo sostenibile, altrimenti rischiamo di perdere posti di lavoro e imprese».La transizione ecologica, in pillole, è quella raccontata a lavoratori, imprenditori e famiglie da colui che - dallo scorso febbraio - ha assunto i comandi del Mite. Un acronimo futuristico per indicare il neonato e ancora poco esplorato ministero della Transizione ecologica voluto dal premier Mario Draghi. Alla sua guida, il ministro Roberto Cingolani, fisico, accademico e fondatore dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova.

Ministro perché un nuovo dicastero? Quello dell'ambiente non era più sufficiente? Possiamo parlare di struttura propedeutica all'ottenimento dei miliardi del Next Generation Eu?
L'origine della parola transizione dovrebbe chiarire a tutti che è necessario cominciare un cammino che ci porti da dove siamo oggi ad un altro punto. Non è un punto che ogni Paese può stabilire autonomamente, perché la transizione riguarda diversi settori della nostra esistenza, dai trasporti alla manifattura. Uno degli indicatori chiave è però il fatto che, negli ultimi decenni, la produzione di gas clima alteranti, quelli che creano l'effetto serra, è aumentata in modo spropositato; basti pensare che negli ultimi decenni ne abbiamo prodotta più di quella generata in due secoli. Tutto questo porta ad aumentare la temperatura globale, con le conseguenze che conosciamo: scioglimento dei ghiacciai, perdita di acqua dolce, desertificazione.

Perché la transizione quindi?
Perché in questo processo di consumo così velocizzato la comunità internazionale, a partire dagli accordi di Parigi, ha stabilito che lo sforzo principale che l'umanità deve fare è quello di tenere il riscaldamento sotto 1,5 gradi. Un obiettivo molto complesso perché significa che non è più possibile immettere anidride carbonica come è stato fatto finora, ma occorre una svolta energetica in modo da non superare il budget di Co2 che possiamo produrre nei prossimi due decenni e che è intorno a 700 miliardi di tonnellate. Se ne produrremo di più, la temperatura a fine secolo sarà sicuramente superiore ad un grado e mezzo e le conseguenze saranno irreversibili. E non tra 200 anni: i bambini di adesso probabilmente avranno un pianeta completamente stravolto, se non cambiamo. Ci siamo imposti di ridurre la Co2 del 55 per cento rispetto al 1990 e entro il 2050, quando dovremo essere completamente decarbonizzati. Questo è il punto d'arrivo, una sfida enorme per otto miliardi di umani. Ma il percorso è diverso per Norvegia, Italia, Cina e così via. Alcuni Paesi, l'Italia ad esempio, sono già avanti dal punto di vista green e dell'economia circolare, per cui noi dovremmo arrivare al traguardo in modo più semplice di altri. Ed è qui che entrano in gioco aspetti geopolitici complicatissimi. Come si fa a dire ad un Paese in via di sviluppo che so, al Brasile, che non deve più inquinare, dopo che i Paesi più ricchi lo hanno già fatto? Ecco perché è fondamentale una "strategia di transizione", visti gli obiettivi epocali. Un'operazione che non si fa in un anno, perché richiede trasformazioni enormi. L'energia rinnovabile, per dire, dobbiamo essere in grado di gestirla, se vogliamo averne sempre a disposizione a prescindere dalla presenza del sole o del vento.

In materia di efficientamento brilla il superbonus al 110 per cento: sarà prorogato al 2023? Saranno ricompresi anche capannoni industriali e alberghi? E sarà, come sollecitato da Draghi, semplificato l'iter burocratico?
Per adesso si è discusso di prolungarlo e si stanno valutando le proroghe visto che è una misura che crea lavoro e che muove l'economia, per cui si cercherà di estenderlo al massimo. Servirà una semplificazione importante, perché alcuni meccanismi scoraggiano il ricorso al superbonus. Se io eseguo i lavori, cedo il credito e poi dopo che ho fatto tutto ho un controllo di uniformità, per esempio catastale, esce una piccola difformità e a quel punto si blocca tutto e l'azienda rivuole indietro i soldi, beh è chiaro che questo scoraggia. Ecco perché si sta lavorando su questo tipo di semplificazione, sempre tenendo presente che la sostenibilità non deve diventare un viatico per chi ha fatto le cose irregolari. C'è irregolarità e irregolarità, diciamo.

Sul fronte degli interventi a salvaguardia dell'ecosistema, nel piano nazionale di ripresa e resilienza 68, 6 miliardi vanno proprio alla transizione ecologica. Come saranno spesi?
Per acqua e ambiente ci sono oltre 15 miliardi, poi c'è una misura che riguarda economia circolare e agricoltura, altri cinque miliardi. Poi sono circa 27 quelli per «energia, mobilità elettrica e settori industriali», dunque la parte di «produzione e utilizzo di energia» e, ancora, 18 quelli per la «sostenibilità passiva», in cui rientra anche il superbonus. Sono tre capitoli molto grossi che, messi assieme, fanno l'attivo, il passivo e la protezione dell'ambiente.

La fetta maggiore del Pnrr da 248 miliardi, insomma.
Sì, le regole europee prevedevano per il Pnrr una percentuale intorno al 37 per cento da destinare alla transizione e noi siamo al 40: un segnale molto forte, direi.

Altra chiave è il settore automobilistico. Il parco auto italiano è vecchio e un'auto su cinque ha più di 18 anni, però lei recentemente ha espresso scetticismo sull'elettrico. Meglio dunque «il treno dell'idrogeno»?
Non è che sono scettico, questo piuttosto è proprio l'esempio della transizione. Se noi non la organizziamo, nessuna misura funziona bene. Se oggi facessimo tutto ad idrogeno verde, non avremmo l'utilizzatore. Mi spiego. Se regalassimo al 30 per cento degli italiani una macchina elettrica non ci basterebbe l'energia pulita per ricaricarla, per cui lo dovremmo fare con corrente che produce anidride carbonica. La transizione prevede proprio questo: che domanda e offerta di energia crescano in maniera costante e simmetrica. Se io non aumento la percentuale di rinnovabile, anche se ho tutte auto elettriche, per caricarle poi produco comunque Co2, perché mi servo del gas o del carbone. Quindi devo far crescere la disponibilità di energia pulita mentre faccio crescere il mercato dell'elettrico, ma anche le colonnine nelle città, non è che quelle spuntino tutte in un giorno.

Sempre in tema mobilità, tra Lombardia e Veneto occhi puntati sull'alta velocità, nelle tratte tra Brescia-Verona e Vicenza: il Recovery darà la spinta decisiva?
Il piano di alta velocità seguito dal ministero delle Infrastrutture - non direttamente dal Mite - viaggia tutto assieme. Non conosco la scala dei tempi e delle priorità ma certo l'idea è di portare l'alta velocità ad essere più capillare possibile sulle grandi direttrici ed è un pezzo dominante della programmazione.

Uno degli effetti del Covid è stato lo slittamento di due tasse "osservate speciali" come la plastic tax e la sugar tax. Per quella sugli imballaggi in particolare, l'entrata in vigore è prevista l'1 luglio 2021, ma si parla di un'ulteriore proroga a dicembre 2021. Cosa succederà?
Prima di parlare di plastic tax bisogna vedere cosa si farà veramente come strategia sulla plastica. Ne ho discusso telefonicamente a livello Ue con Vestager e Timmermans, perché la plastica in questo momento in Europa è una delle cose più complesse; manca una visione unitaria. La soluzione dunque non è mettere una tassa, ma capire cosa fare con le nuove tecnologie. Se dipendesse da me l'ultima cosa a cui penserei è una plastic tax, puntando invece su investimenti mirati per il ciclo di recupero.

Idem per la tassa sulle bibite zuccherate?
Ammetto che di questa non so veramente nulla, credo che riguardi il ministro della Salute.

Mancano nove anni alla data fatidica indicata dall'Agenda 2030 per raggiungere i 17 obiettivi condivisi dai 193 Paesi delle Nazioni Unite. A che punto siamo? Come e quanto la pandemia ha rallentato il percorso verso uno sviluppo sostenibile?
La pandemia ha rallentato molto. Se avessimo iniziato questa transizione dopo cinque anni di crescita al 3 per cento del Pil, sarebbe stato fantastico. Invece la cominciamo da un punto di minima, per cui società e lavoratori sono stati messi sotto uno stress pazzesco. Un conto è dire alla piccola o media impresa «investi per essere green» dopo che è cresciuta, un conto è dirlo ora. La transizione ha un costo e per questo la commissione europea ha riconosciuto proprio all'Italia uno spazio maggiore, perché siamo stati tra i più colpiti.

L'esperienza del virus ha accelerato la crescita tecnologica, ma tra dad e smart working, famiglie e imprese arrancano. Come intendete sostenere il processo di digitalizzazione e innovazione?
Il virus ci ha costretto a fare di necessità virtù ma non lo voglio prendere come un esempio o un punto di partenza, non c'erano alternative in effetti. Quando è iniziata la pandemia avevo a casa pochi mega al secondo di banda e io vivo a Genova, non in un paesino sperduto. Come tutti mi sono trovato a dover lavorare a distanza, per cui anch'io ho fatto la mia trafila, chiamando il gestore e i tecnici e adesso ho 250-300 mega al secondo, ho una rete molto veloce e posso lavorare bene. Detto questo, non dovevamo aspettare il Covid per avere la rete nelle abitazioni. In questo senso il Pnrr fa un'impresa straordinaria, perché il team di Colao (ministro della Transizione digitale) ha predisposto un piano di grande visione, un salto di qualità, oltre che un passaggio fondamentale anche per l'impatto ambientale. C'è un investimento di oltre 40 miliardi che cambierà la struttura del Paese.Tra i «goal» dell'Agenda 2030 c'è la parità di genere.

Come si tradurrà, nella pratica? Quali strumenti nuovi saranno adottati?
Si deve operare su più livelli e uno è quello culturale, che è il meno misurabile ma anche il più importante. Finché propugneremo certi modelli ce la possiamo scordare la parità. Ci sono comunque delle misure importanti che riguardano soprattutto il comparto giuslavoristico: laddove ci sono delle disparità, queste possono essere corrette. Quando dirigevo un istituto di ricerca avevo inserito una misura che si chiamava "stop clock for maternity". Per una ricercatrice con un figlio, per esempio, in un'analisi comparativa con un concorrente maschio la gravidanza contava come un anno di "anzianità" sul curriculum, in modo da metterla alla pari del collega uomo. Non è così semplice ma sia la ministra Carfagna e il ministro Brunetta stanno lavorando di concerto per trovare delle regole che aiutino.

Un ulteriore sostegno alle assunzioni femminili?
Credo che ci sarà proprio un impianto dedicato, per favorire la parità. Quando si parla di "sostegno" infatti, è come dire che si accetta il problema, mentre io credo che non dobbiamo sostenere, né accettare, noi dobbiamo cambiare, la rivoluzione dev'essere più profonda.

Quindi quote rosa?
Ma non penso che sia una questione di quote rosa, quanto di riconoscere che nei problemi complessi l'approccio del maschio e della femmina è un approccio complementare e necessario. Io l'ho visto nei gruppi di ricerca, è fondamentale il team misto. È un'opportunità che non stiamo sfruttando, insomma, abbiamo un problema di consapevolezza pubblica su questo fronte.

Scuola e giovani. I ragazzi dei «Fridays for Future» hanno aperto la strada al movimento green. Non sarebbe il caso di coinvolgere maggiormente la generazione Z nelle scelte politiche per il futuro?
Le dirò, a breve avremo un incontro con alcuni esponenti del movimento. È certo che non abbiamo consegnato un buon futuro alle nuove generazioni. Credo che ci siano milioni di ragazzi che studiano e lavorano per un avvenire migliore e il primo passaggio che dobbiamo fare è potenziare gli studi Stem - scienze, tecnica e matematica - perché senza questi il futuro non migliora, purtroppo. Un investimento che dev'essere fatto fin dagli inizi, dai sei anni. Poi c'è un problema di «long life learning»: il lavoratore deve vivere in una società che non sia verticalizzata e chiusa, la tecnologia oggi cambia velocemente, bisogna imparare e studiare e non parlo solo di formazione continua del tipo finanziato dalle Regioni, ma di qualcosa di più profondo. Su questo possiamo discutere. A certe spettacolarizzazioni però, sono contrario.

Di quali spettacolarizzazioni parla?
In alcuni casi la protesta costruttiva si confonde con quella ideologica. I giovani devono capire che forse un piccolo sacrificio serve per correggere delle cose, piuttosto che fare muro e dire sempre "no". Ho tre figli e ho insegnato tutta la vita, ho sempre avuto a che fare con i ragazzi, sono la nostra più grande risorsa, ma bisogna dare loro gli strumenti per comprendere la differenza tra ideologia e realtà oggettiva.

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